Il clarinetto è uno strumento appartenente alla famiglia dei legni, nella fattispecie è un aerofono ad ancia semplice battente. In maniera grossolana, ma utile per comprenderne la resa sonora, la sua estensione viene divisa in tre registri: il registro grave, detto dello chalumeau (ma in maniera equivoca, dato che in Italia per chalumeau si intende il gruppo delle note di gola che precedono il cambio di registro nello strumento), il registro intermedio, detto del clarinetto, ed il registro acuto.
Il registro basso possiede una sonorità dalle tinte scure (ricordiamo la scena “Siam giunti” del Trovatore che si apre con due clarinetti nel registro basso insieme al fagotto), un timbro vellutato e delicato. Il registro intermedio possiede un timbro delicato ma allo stesso tempo più brillante ed è il più utilizzato in orchestra dato che possiede una proiezione nello spazio più profonda. Il registro acuto è il più squillante e, se non controllato da esperte labbra, rischia di diventare facilmente stridulo e fastidioso.
Nel 1700, Johann Christian Denner, un artigiano di Norimberga, diede vita al clarinetto. Si è sempre dibattuto sulla natura inventiva o innovativa dell’opera di Denner, dato che rudimentali strumenti ad ancia semplice esistevano da secoli; in particolare si è spesso considerato il clarinetto come diretto discendente dello chalumeau, strumento medioevale ad ancia semplice battente. In realtà, per l’acustica stessa del clarinetto di Denner, diversa da quella degli strumenti precedenti ma molto simile a quella dei clarinetti attuali, nonostante le dovute modifiche meccaniche operate da svariati artigiani fino ai giorni nostri, sono portato ad affermare che quella dell’artigiano di Norimberga sia stata una vera e propria invenzione, semmai stimolata dagli strumenti fino ad allora esistenti.
Il lavoro di perfezionamento dello strumento fu proseguito dai figli di Denner, che innestarono nel clarinetto le prime due chiavi. Rircordiamo in particolare Jacob Denner: egli completò l’estensione del clarinetto, il quale difettava del Si naturale della seconda ottava, ottenibile solo facendo calare il Do con le labbra. Poiché il clarinetto ottiene, a causa della quasi totale assenza degli armonici pari, suoni una più acuti di una dodicesima attraverso l’apertura del foro del portavoce, Denner smise di cercare il Si naturale attraverso fori più in alto del Sib, ma lo trovò aumentando l’estensione dello strumento verso il basso di un semitono. Ottenne in questo modo il Mi basso, che, attraverso l’apertura del portavoce diventava il Si della seconda ottava.
Tralasciando le svariate innovazioni tecniche che si ebbero nel frattempo, giungiamo ad uno dei passi fondamentali nello sviluppo dello strumento: il clarinetto omnitonico di Ivan Müller, primo strumento in grado, almeno in teoria, di suonare in tutte le tonalità. Il suo clarinetto prevedeva tredici chiavi, ma la vera genialità della sua opera era il modo in cui esse erano state costruite, collocate, disposte sul foro e rivestite. Questo rappresentava il progresso più significativo dai tempi di Denner. Nel 1812 Müller presentò il suo clarinetto all’esame della commissione del Conservatorio di Parigi, ma lo strumento venne incredibilmente rifiutato: la motivazione fu che, essendo il nuovo clarinetto in grado di suonare in tutte le tonalità, avrebbe portato al disuso dei vari strumenti tagliati in tonalità diverse, e dunque alla perdita dei timbri peculiari di ciascuno strumento.
Dal momento che Müller era un gran virtuoso, lo strumento si diffuse lo stesso grazie al successo che ottenne il musicista. Da questo strumento si ebbe una diramazione che portò allo sviluppo parallelo di due sistemi: il sistema Klosé, detto comunemente, ma impropriamente, Böhm, ed il sistema Öhler.
Klosé applicò il principio che Böhm aveva applicato alla costruzione del flauto: entrambi innestarono una serie di chiavi ad anello. Esse mettevano in azione altre chiavi che coprivano uno o più fori diversi ad una certa distanza, permettendo alle dita di chiudere dei fori ben oltre la loro portata naturale, senza che per questo si fosse costretti a rimpicciolire o avvicinare questi fori per adeguarli alla struttura della mano. Il numero delle chiavi dello strumento di Klosé era lo stesso della maggioranza di quelli in uso oggi: 17 chiavi e 6 anelli aiutano le mani a controllare ben 24 fori.
Nel mondo germanico, invece, si seguì una strada parallela per migliorare la meccanica, l’intonazione e lo sfogo di alcune note del clarinetto di Müller. Carl Bärmann, grande virtuoso ed insegnante, si adoperò in questo senso: in effetti, proprio il suo strumento fu quello suonato per anni da Richard Mülfeld, il grande clarinettista che ispirò Brahms per i suoi ispirati quintetti, trii e per le due sonate.
In seguito, con Robert Stark ed, infine, con Oskar Öhler, si giunse al moderno clarinetto tedesco, che combinava certi vantaggi del sistema Böhm con quelli del sistema Müller. Il meccanismo di Öhler risulta molto più complesso di quello di Klosé ed anche più funzionale acusticamente, dato che elimina le note a forchetta (nota la cui diteggiatura forza la colonna d’aria a uscire da due fori, con un dito che forza il più basso dei due all’azione, mentre l’acustica richiederebbe altrimenti), facendo sì che il dito “colpevole” azioni una chiave collegata ad un foro laterale, posizionato in maniera tale da suonare come se la nota non fosse a forchetta. A Londra, Geoffrey Acton applicò questo sistema al clarinetto Klosé con grande successo.
Tratto da Gregorio Maria Paone, L’Uso del Clarinetto nelle Opere Serie di Rossini del Periodo Napoletano, Edizioni Efesto, Roma, 2018, pp. 17-20.